Joe Boyd - White bicycles making music in the 1960s
Clicca per ingrandire |
|
Joe Boyd - White bicycles making music in the 1960s
Serpent's Tail 2006
pagine 282
in lingua originale (inglese)
Alla fine degli anni ottanta la dura realtà delle cose ci aveva costretto a fare il grande salto dal vinile al CD. Fu con un certo stupore che ci trovammo gradualmente a scoprire che il trasferimento della musica dal vecchio al nuovo formato era stato tutt'altro che indolore: non poche ristampe di album storici, infatti, non combaciavano con quanto a noi già noto; fatto allarmante, la cosa sembrava avvenire nell'indifferenza generale. Decidemmo quindi di rimboccarci le maniche e di tentare di formulare una prima approssimazione sistematica. L'articolo che ne seguì fu pubblicato nel 1991 dalla rivista italiana Musiche (e successivamente, in traduzione inglese, dal ReR Quarterly) con il titolo di Rimissaggi: cosmesi o frode?. E dato che più indagavamo e più saltavano fuori cose strane decidemmo di procedere a uno studio comparato su (tanto per fare cifra tonda) 100 LP.
Uno dei cento titoli prescelti era il bell'album di Richard e Linda Thompson intitolato Shoot Out The Lights. In quell'occasione eravamo stati tutt'altro che fortunati: il vinile della copia in nostro possesso (un non economico esemplare di importazione del 1982) si presentava non poco ondulato già da nuovo, e con il buco decisamente fuori centro. La pubblicazione dell'album in formato CD ci avrebbe finalmente dato la possibilità di gustare la musica senza soffrire il mal di mare? Pia illusione: la metà dei pezzi vedeva infatti i canali (dx-sx) scambiati di posto! Era tempo di fare una telefonata a Londra: originariamente pubblicato dalla Hannibal di Joe Boyd - che lo aveva anche prodotto - Shoot Out The Lights era stato stampato in CD dall'etichetta statunitense Rykodisc, che aveva anche degli uffici a Londra. Esponemmo anomalia del CD e finalità dell'articolo al nostro interlocutore. "Capisco. Ma ne devi parlare a Joe", ci fu risposto, "e Joe è in vacanza". Chiedemmo chi fosse questo Joe. "Joe Boyd. E' lui che si occupa del catalogo Hannibal. Sarà di ritorno tra due settimane."
A questo punto eravamo certi che per quanto riguardava Shoot Out The Lights il capitolo fosse da considerare chiuso: l'eventualità che Joe Boyd rispondesse al telefono per discutere di un'inversione di canali con uno sconosciuto interlocutore italiano ci appariva palesemente assurda. Il perché è presto detto: come riassunto sul retrocopertina di White Bicycles, "Il primo vero lavoro di Joe Boyd, a 21 anni, fu portare Muddy Waters in Inghilterra nel 1964. Quando l'anno successivo Bob Dylan abbracciò l'elettricità a Newport, Joe Boyd si occupava del palco. La sua prima session in qualità di produttore fu la prima versione di Crossroads fatta da Eric Clapton. Un anno più tardi aveva prodotto il primo singolo dei Pink Floyd e li aveva installati nel suo UFO Club, cuore della Londra psichedelica nel 1967. Con l'aiuto della Incredible String Band, Sandy Denny e i Fairport Convention combinò il breve ma intenso matrimonio tra la pop music e il British folk. Scoprì, produsse e fece da manager a Nick Drake".
E invece rispose, e con voce estremamente chiara accettò di buon grado di discutere, senza fretta alcuna, la questione dell'inversione dei canali. (Ovviamente ci vennero subito in mente mille altre domande, ma non ci parve assolutamente il caso.)
Statunitense laureatosi ad Harvard, per certi versi Joy Boyd può essere incluso in quel ristretto gruppo di americani - e qui vengono subito in mente i nomi di Shel Talmy e di Jimmy Miller - che si trovarono a lasciare un segno nel Regno Unito. Ma per certi versi il lascito discografico di Boyd è ancora più importante di quello dei nomi appena citati: se il grosso successo di mercato gli è sempre sfuggito (la nostra formulazione non induca il lettore a credere che Boyd lo abbia mai consapevolmente ricercato), il gruppo di "artisti di culto" che meglio rappresenta il suo lavoro occupa da sempre un posto d'onore per chi cerca l'individualità al di fuori delle mode.
Fondata da poco la Hannibal, da poco pubblicato Shoot Out The Lights, la carrellata di "ricordi in presa diretta" raccolti da David Fricke apparsa nel 1983 sul mensile statunitense Musician diceva di un modus operandi - umano e di studio - tutt'altro che tipico. Chi scrive avrebbe senz'altro gradito che uno spazio maggiore di White Bicycles fosse stato dedicato a quelle questioni "tecniche" che "fanno" il suono. Ma non è questo il taglio del libro, che pure dedica il capitolo 24 allo studio in cui ebbero luogo molte session storiche e al tecnico che divise con Joe Boyd la responsabilità di tutto: John Wood.
Se la vita e il lavoro di Boyd in Inghilterra erano per molti versi già noti, qui vengono alla ribalta usi, costumi e avvenimenti Made in USA prima del cambio di continente. Boyd ha mano felice nel dire l'essenziale con poche parole ("Gli anni dal 1954 al 1956 furono il grande apice, quando la musica nera fu scoperta dai teenager bianchi e vendette milioni di dischi") e nel tratteggiare un quadro complesso con poche pennellate ("La borghesia può solo prendere a prestito la sua cultura, da "sopra" o da "sotto" - e l'America non ha mai avuto un granché di 'sopra'"). Ci sono vari aneddoti illuminanti (quali ingaggiare il bluesman Lonnie Johnson, che ormai lavorava come cuoco in un hotel di Philadelphia, per $50) o tipici di un'era (come quello decisamente piccante che ha per protagonista Bob Dylan) e un lungo racconto del "tour in blues" del '64 in UK. Non mancano le esperienze jazzistiche - i tour con Roland Kirk, Coleman Hawkins, Miles Davis e Thelonious Monk. E poi l'era folk, la nascita dalla Butterfield Blues Band e la celeberrima esibizione di Dylan a Newport.
Acute osservazioni sulle differenze culturali percepite al suo arrivo a Londra (anche la grandezza dei joint!) e poi si parte: Annie Briggs, Bert Jansch, Sandy Denny, Davy Graham, le session di Eric Clapton e la Powerhouse per la compilation What's Shakin', la Incredible String Band e così via. Fondamentale l'incontro con John Hopkins e l'apertura dell'UFO Club - e qui ci sono tante belle pagine a ricordare i fermenti sociali e musicali di un'era (da cui il titolo del libro: qualcuno ricorda i Provo e le loro biciclette bianche?). C'è anche un capitolo dedicato a Chris McGregor e ai suoi Blue Notes, dal contratto con la Polydor, propiziato proprio da Boyd, alla tragica fine.
Com'era per certi versi prevedibile, le figure che occupano lo spazio maggiore sono soprattutto quelle dei componenti del gruppo dei Fairport Convention, in primis Sandy Denny, e di Nick Drake. Accanto a loro si muovono tanti personaggi minori che tuttavia risultano in molti sensi decisivi per l'economia dei racconti. Siamo certi che spesso il lettore rimpiangerà che lo spazio dedicato a ciascuno dei protagonisti risulti tanto ridotto; ma quelli erano tempi davvero densi e intensi, e nonostante il libro si fermi, di fatto, ai primi anni settanta - con appena qualche breve incursione nel futuro - è evidente che la materia ha imposto ben precise proporzioni. La quantità di piccole rivelazioni, di piccoli e preziosi particolari è però quasi stupefacente.
Affiora di tanto in tanto una sorta di morale, e un senso preciso del divenire che per molti versi non è troppo lontano da certe conclusioni cui era già pervenuto Ian MacDonald nel suo bel libro sui Beatles, Revolution In The Head.
Recensione: Nota: non inserire codice HTML!
Voto: Pessimo Ottimo
Inserisci il codice che vedi qui sotto: